quando il "diverso" è molto diverso: Violenza a prigioniere Yanoàma

(da Ettore Biocca: Mondo Yanoàma - De Donato, 1969)

         Diversa è la situazione delle donne fatte prigioniere in battaglia. Gli Indi (Kohorosciwetari e Igneweteri) mi dicevano che, dopo la battaglia, sfogano i loro istinti sulle prigioniere: forse proprio il desiderio di soddisfare i bisogni sessuali rappresenta uno stimolo importante e spinge i giovani a far guerra ai gruppi vicini. In alcuni casi, le prigioniere vengono poi tenute come donne pubbliche. I Pisciaanseteri, dopo essere stati attaccati a tradimento dagli Sciamatari, riuscirono a far prigioniere cinque donne Sciamatari e le tennero come donne pubbliche. Quando un gruppo di Bianchi del Servizio antimalarico arrivò alla foce del Rio Mavaca, i Pisciaanseteri,  permisero loro di usare le donne Sciamatari come “ prostitute ”. Credo, però, che in questi casi la parola “ prostituta ” non possa essere usata con proprietà di linguaggio, poiché si tratta di una forma di coercizione, indipendente dalla volontà delle prigioniere. Una di queste donne cercò di fuggire, ma fu raggiunta, riportata nello sciapuno e marcata a fuoco con tizzoni ardenti. Finalmente, un giorno, tutte e cinque le donne riuscirono a fuggire.



         Lungo il Rio Demenì, altro affluente di Nord del Rio Negro, Becher (1960 b, pp. 68-69) è vissuto recentemente alcuni mesi con i Suràra, forte gruppo Yanoàma. Egli così scrive: “ Tra i Suràra ho trovato una ragazza di circa 15-16 anni, carina, delicata, del gruppo nemico Karawetari che era tenuta come prigioniera e come proprietà comune di tutti gli uomini, sia dei celibi che degli sposati. In un attacco a uno sciapuno era caduta nelle mani dei Suràra: viveva insieme ad una vecchia vedova con la figlia ugualmente vedova. Durante il giorno si occupava occasionalmente dei bambini piccoli, lavorava con le donne del capo, frantumava manioca o ne pressava la pappa, o infilava perline per preparare una cintura. Al cader della sera portava spesso legna per la notte, esattamente come le altre compagne.
         “ Come unica donna prendeva parecchie volte al giorno un bagno; giocava con le altre giovanette giochi infantili. Andava su e giù con le altre donne nella foresta a raccogliere frutti. Non l’ho mai vista ferma. Quando lavorava era di sua propria volontà. Ma doveva essere sempre pronta per tutti gli uomini in ogni ora del giorno e della notte. Oltre a ciò veniva spesso un uomo, non solo ma in genere in compagnia di 4 o 5 o anche più. Non chiedevano se ne avesse voglia, dormisse, lavorasse o, forse, si sentisse male. Uno la prendeva per un braccio o per i capelli e la tirava nella foresta, mentre gli altri seguivano. In particolare, quando gli uomini facevano lavori in comune nella foresta, come quando, per esempio, tagliavano piante per fare una abitazione o riunivano liane o foglie di palme, allora Nikeroma era regolarmente portata dietro, ne avesse o non ne avesse voglia. Nel caso si difendesse o facesse obiezioni, un uomo le dava col suo bastone un colpo sulla tonsura, che già era piena di cicatrici o le graffiava il corpo col coltello tagliente fatto col dente di cotia, facendola sanguinare.
         “ Da notare che gli uomini sposati non andavano con Nikeroma nella foresta segretamente, ma del tutto palesemente. Quando io viaggiavo col gruppo, potevo spesso osservare durante la sosta dei mezzogiorno che un uomo sposato si avvicinava improvvisamente alla piccola prigioniera e se ne andava con lei da parte per un pezzo, seguito da cinque o sei uomini. Gli altri presenti, uomini, donne, ragazzi ci ridevano sopra. Veramente le donne sposate erano abbastanza inquiete e lanciavano dietro ai loro uomini pezzi di legno, ma facevano buon viso a cattivo gioco e, sia pure in agro dolce, ci ridevano anche loro. Gli uomini tornavano dopo circa un’ora con Nakeroma e noi continuavamo la nostra marcia. Certo, la piccola Nakeroma poteva solo difficilmente capacitarsi della sua sorte; era sempre seria e triste, quasi melanconica e mostrava grande nostalgia ”.



     Proprio gli stessi Wawanaweteri sono stati i protagonisti degli episodi seguenti. Wavrin (1937 pp. 184, 411-412) così scrive: “ Nel 1927, i Guaharibo (Yanoàma) attaccarono i civilizzati in un affluente del Rio Cauaburì e catturarono una donna, il cui marito brasiliano si salvò in tempo. Uccisero il bambino piccolo di questa donna india ben civilizzata, della razza (?) detta ‘geral’; quanto a lei, la portarono via insieme al bambino più grande. Uno dei guerrieri, dei più robusti, curvandola verso il suolo, la tenne ferma e serrò la testa tra le gambe, come in una morsa, mentre, tenendola nei fianchi, la costringeva a tenere questa posizione. Il capo per primo la violò, seguito poi da tutti i guerrieri... Gli Indi viaggiavano di mattina e accampavano presto. In ordine di marcia la donna era portata avanti, in compagnia del capo fila, seguito da tutto il gruppo: duecento uomini circa. Appena si accampavano, la donna, sempre sotto sorveglianza, era obbligata a raccogliere la legna per tutti i focolai, accendere il fuoco (?) e mantenerlo; poi, sempre presa per quello scopo doveva sopportare, nella stessa posizione, l’assalto bestiale di tutto il gruppo...“ Quando, dopo circa due mesi di soggiorno in questo villaggio, di nuovo gli uomini iniziarono una spedizione, la donna e il suo bambino li accompagnarono; ma ora la donna era trattata con più riguardo e poiché faceva spontaneamente tutto quello che si aspettavano da lei, la lasciavano abbastanza libera. Essa poté così riconoscere che la marcia del gruppo l’aveva riportata proprio verso lo stesso luogo dove era stata catturata.“ Profittando allora del fatto che gli uomini erano partiti per una razzia e l’avevano lasciata sola, essa fuggì, seguendo la riva nella speranza di ritrovare il marito e i suoi compagni, senza dubbio ritornati lì in forza. Dopo quattro giorni di cammino essa scoprì infatti una canoa del marito. Sali nella canoa con il figlio e arrivò salva tra i civilizzati. Raccontò i dettagli dei suoi tre mesi di cattura e dei supplizi sopportati soprattutto all’inizio... Dai rapporti carnali, dagli assalti di tutti questi selvaggi, essa era gravida. E’ in questo stato che la vide il venezuelano Antonio Silva ”.Dice Wawrin che “ non fecero uso di lei in maniera diversa che nella posizione alla quale essi non avrebbero voluto sottomettere le loro donne...I Guaharibo (Yanoàma) fanno il coito come tutti gli Indi, la donna distesa a terra sul dorso ”.Questa ultima affermazione di Wawrin non credo che possa essere accettata in questa forma esclusivista, poiché le documentazioni esistenti al riguardo sugli Indi sud americani stanno a documentare una maggiore inventiva.


 


        ... I guerrieri Sciamatari cercavano le donne, che stavano nascoste negli angoli dello sciapuno. Presero una figlia di Hekurawe: era bella, formosa, simpatica. La prese il nipote del tusciaua degli Sciamatari. Poi il tusciaua la vide e chiese: “Chi ha preso questa donna? “. “E’ stato tuo nipote”. “ Questa donna è per me”.
         “ Gli uomini intanto cominciarono a riunire le prigioniere; le tenevano ferme per le braccia. Erano molte e giovani. Altri uomini continuarono a girare nello sciapuno, prendendo cesti, pentole di terra cotta, banane, pupugne. Mettevano tutto nei cesti e li passavano alle donne, perché li portassero. Gli Sciamatari lasciarono nello sciapuno le vecchie e le donne anziane; presero solo le giovani e quelle che non avevano figli... Saranno state le dieci. Uscimmo tutte in fila dallo sciapuno degli Hekurawetari e andammo poco lontano, dove c’era un altro sciapuno vecchio. Gli Sciamatari chiedevano alle prigioniere quanti uomini ci fossero stati nello sciapuno: le donne rispondevano che c’erano solo quegli uomini che essi avevano ucciso o ferito. ”