Come mai il teologo si occupa di cose di competenza del giurista? La ragione è che il problema degli indios non riguarda leggi umane (cioè positive) ma divine (cioè naturali), «su cui i giuristi non sono abbastanza competenti per poterle definire da soli»; e tocca questioni che concernono il «forum conscientiae», di cui è competente la Chiesa 1.
Sezione prima: La libertà degli Indios 2
Problema
Se, prima dell'arrivo degli spagnoli, gli indios («barbari») 3 fossero « veri domini » (liberi e capaci di disporre di se stessi) sul piano sia privato che pubblico: se cioè avessero sia la proprietà di beni («privatarum rerum et possessionum ») che un governo autonomo («utrumessent inter eos aliqui veri principes et domini aliorum»).
Risposte negative
Da Aristotele: sono schiavi per natura («natura servi») perché non hanno una ragione abbastanza sviluppata da essere capaci di gestire se stessi («quibus ratio non sufficit ad regendum se ipsos»). Sono quindi come i bambini «ante usum rationis» o come gli idioti («amentes») senza speranza di mai arrivarvi.
Da alcune posizioni ereticali: fondamento del «dominium» è la grazia, che rende l'uomo immagine di Dio, e di cui i peccatori sono sprovvisti 4.
Soluzione di Vitoria
II fondamento del dominio è la natura razionale: «Sola creatura rationalis habet dominium sui actus», perché, come insegna san Tommaso 5, uno è padrone dei suoi atti quando è capace di scegliere. Dunque solo l'uomo (non l'animale) e tutti gli uomini.
Risposta alle soluzioni negative
Contro chi basa il dominio sulla grazia, e quindi lo nega ai peccatori: « II dominio si basa sull'immagine di Dio; ma l'uomo è immagine di Dio per natura, cioè in forza delle facoltà naturali; quindi non viene perduto (il dominio) a causa del peccato mortale » («Dominium fundatur in imagine Dei; sed homo est imago Dei per naturam, scilicet per potentias naturales; ergo non perditur per peccatum mortale») 6.
Contro il ricorso ad Aristotele: non ci sono, per lui, schiavi naturali in senso proprio, ma soltanto schiavi civili (per esempio prigionieri di guerra) 7.
Quanto ai bambini, è evidente che essi sono soggetti di diritti e di dominio, dal momento che possono ereditare. E la ragione è che anche il bambino è immagine di Dio e che, a differenza degli animali, « non esiste in funzione di altro ma di se stesso » («puer non est propter alium, sed propter se»).
E gli «amentes» senza speranza? Anch'essi sono soggetti di diritti, perché possono patire torti («possunt pati iniuriam, ergo habent ius»); anche se si discute se possano avere dominio (proprietà) civile. Ma attenzione: gli indios non sono «amentes», privi dell'uso effettivo della ragione, « ma hanno quest'uso nel modo che è loro proprio » («non sunt amentes, sed habent prò suo modo usum rationis»).
La prova: «Hanno nelle loro cose una certa organizzazione, dal momento che hanno città ben governate, hanno matrimoni ben definiti, magistrati, signori, leggi, industrie, commercio: cose tutte che richiedono l'uso della ragione; hanno inoltre una forma di religione» («Habent ordinem aliquem in suis rebus, postquam habent civitates quae ordine Constant, et habent matrimonia distincta, magistratus, dominos, leges, opificia, commutationes, quae omnia requirunt usum rationis; item religionis speciem») 8. Dio e la natura non li hanno abbandonati. Il fatto che sembrino così immaturi e senza senno «penso venga in massima parte dalla loro cattiva e barbara educazione: anche in mezzo a noi vediamo molte persone della campagna che differiscono di poco dagli animali privi di ragione («puto maxima ex parte venire ex mala et barbara educatione, cum etiam apud nos videamus multos rusticorum parum differentes a brutis animantibus» 9).
Conclusione
«Da tutto quanto abbiamo detto risulta che gli indios erano senza alcun dubbio liberi e padroni di se stessi ('veri dominio, sul piano sia pubblico che privato, proprio come i cristiani; e perciò non li si poteva spogliare — ne i privati ne i capi — delle loro cose con la scusa che non fossero tali».
Sezione seconda: Titoli illegittimi della conquista
Problema
«Appurato che gli indios erano liberi e padroni di se stessi, si tratta di vedere a quale titolo gli spagnoli potessero conquistare loro e le loro terre. E cominciamo con quei titoli che possono essere esibiti ma che sono invalidi e illegittimi» («non idonei nec leghimi»).
Esposizione dei titoli e giudizio di Vitoria
1. L'Imperatore è signore del mondo intero perché «nel mondo ci dev'essere un solo reggitore, come c'è un solo Dio »
Giudizio: «Quest'opinione è senza alcun fondamento, l'Imperatore non è signore di tutto il mondo »; perché « sul piano del diritto naturale gli uomini sono liberi, salvo per quanto attiene al dominio paterno e a quello maritale: infatti per diritto naturale il padre ha dominio sui figli e il marito sulla moglie. Perciò non c'è nessuno che per diritto naturale abbia il dominio del mondo intero» 10.
Inoltre, «se anche l'Imperatore fosse signore di tutto il mondo, non per questo potrebbe occupare le provincie degli indios, istituire nuovi signori e deporre gli antichi, e riscuotere imposte »; sarebbe
infatti, in ogni caso, « signore per giurisdizione, non per proprietà».
2. Il Papa è signore temporale di tutto il mondo
Giudizio: «II Papa non ha alcun potere temporale su questi indios ne sugli altri infedeli... Infatti egli non ha potere temporale se non in ordine alle realtà spirituali. Ma su di loro non ha evidentemente potestà spirituale (1 Cor 5,12-13). Dunque neppure temporale » (« Papa nullam potestatem habet in barbaros istos, neque in alios infideles... Nam non habet potestatem temporalem nisi in ordine ad spiritualia. Sed non habet potestatem spiritualem in illos, ut patet... Ergo nec temporalem» 11).
3. La scoperta: le terre senza padrone sono di chi le occupa
Giudizio: Abbiamo visto che gli indios erano « veri domini »; perciò «questo titolo di per sé non vale nulla in ordine al possesso dei loro beni, ne più ne meno che se fossero stati loro a scoprire noi» («non plus quam si ipsi invenissent nos»).
4. Il rifiuto colpevole di convertirsi al cristianesimo
Giudizio: a) prima della predicazione del cristianesimo era impossibile, ovviamente, che vi fosse colpa; b) una volta iniziata la predicazione, «gli indios non sono tenuti a credere al primo annuncio della fede, così da compiere peccato mortale per il fatto di non credere quello che viene loro semplicemente annunciato e proposto — cioè che il cristianesimo è la vera religione e che Cristo è il Salvatore e Redentore del mondo — senza l'accompagnamento di miracoli o di qualunque altra prova o elemento di persuasione» (Cf il «requerimiento»). Infatti «un annuncio del genere non è un argomento o un motivo per credere » (« cum talis annuntiatio nullum sit argumentum nec motivum ad credendum»). Anzi, come dice il Caietano, sarebbe temerario e imprudente chi credesse qualcosa, specialmente in ciò che riguarda la salvezza, senza sapere che ad affermarlo è una persona
degna di fede. Ma gli indios non lo sanno, « ignorando chi e che tipo di gente siano coloro che propongono loro la nuova religione...» (« cum ignorent qui aut quales sint, qui eis novam religionem propo nunt»). Se in maniera analoga i musulmani proponessero semplicemente agli indios la loro setta, è fuor di discussione che non sarebbero tenuti a credevi. Lo stesso vale in relazione ai cristiani» 12, e) «Se la fede cristiana viene proposta agli indios in maniera probativa, cioè con argomenti validi e ragionevoli ('cum argomentis probabilibus et rationalibus') e con una vita degna e diligente nell'osservare la legge naturale — il che costituisce un grande argomento a conferma della verità — ('cum vita honesta et secundum legem naturae studiosa, quae magnum est argumentum ad confirmandam veritatem'), e questo non una sola volta e in maniera superficiale ma con alacrità e diligenza, gli indios sono tenuti a ricevere la fede di Cristo sotto pena di peccato mortale».
Ma: ca) non è stato così (quaestio facti). «Non mi risulta che la fede cristiana sia stata finora proposta e annunciata agli indios in maniera tale che siano obbligati a credere sotto peccato... Non sento parlare di miracoli e segni, ne di esempi di vita così religiosa; anzi, sento di molti scandali e delitti crudeli, e di molti atti di empietà » («Sed miracula et signa nulla audio, exempla vitae non adeo religiosa; immo multa scandala et saeva facinora, et multas empietates»). Religiosi ed ecclesiastici si sarebbero impegnati seriamente « se non ne fossero stati impediti da altre persone, che hanno interessi ben diversi » («nisi ab aliis, quibus alia cura est, impediti essent») 13. cb} Se anche così fosse stato, non sarebbe questo un motivo valido che giustifichi la conquista (quaestio iuris). Infatti, come insegnano tutti i dottori, «gli infedeli non possono in alcun modo essere costretti a credere con la forza» («nullo modo sunt compellendi ad fidem»); e la ragione è che «credere è un atto della volontà, e il timore vizia la dimensione volontaria dell'atto» («credere est voluntatis; timor autem multum minuit de voluntario»). «La guerra non è un argomento a favore della verità della fede cristiana ('bellum nullum argumentum est prò ventate fidei christianae'). Perciò con la guerra gli indios non possono essere spinti a credere, ma soltanto a fingere di credere e di accogliere la fede cristiana: il che è un enorme sacrilegio» 14.
5. I peccati «contro natura» degli indios: cannibalismo, sodomia, incesto
Giudizio: né il Papa né i prìncipi cristiani hanno giurisdizione sui pagani 15.
6. Una scelta volontaria: gli indios, di fronte agli spagnoli che li invitano a sottomettersi al re di Spagna, dichiarano di essere d'accordo
Giudizio: titolo invalido, «perché dovrebbe non esservi ne timore ne ignoranza, che viziano ogni scelta; che invece sempre intervengono in questo tipo di scelte. Infatti gli indios non sanno bene quel che fanno, anzi addirittura forse non capiscono che cosa gli spagnoli chiedono loro. Inoltre sono persone armate, e in posizione di accerchiamento, che lo chiedono a gente inerme e Impaurita»
(« Nesciunt enim barbari quid faciunt, immo forte non intellegunt quid petunt hispani. Item hoc petunt circumstantes armati ab imbelliturba et meticulosa ») 16.
7. Un dono speciale di Dio, che mette gli indigeni in mano agli spagnoli, come un tempo i cananei in mano agli ebrei
Giudizio: è ben pericoloso credere a un'ispirazione speciale in contrasto con la legge comune e con le regole della Scrittura. A meno che chi la rivendica possa provarla con miracoli, « ma profeti di tal risma miracoli non ne hanno fatti» («quae tamen nulla proferuntur ab huiusmodi prophetis»).
Sezione terza: Titoli legittimi della conquista 17
1. «Il primo titolo può essere detto della naturale socievolezza e comunicazione» («naturalis societatis et communicationis») 18.
a) Diritto di viaggiare e commerciare pacificamente.
«Gli spagnoli hanno il diritto di muoversi nelle terre degli indios e di abitarvi, e questi non possono proibirglielo, a patto che non provochino loro danni». «Agli spagnoli è lecito commerciare con gli indios, purché ciò avvenga senza danno della patria: per esempio, importando colà merci di cui essi scarseggiano ed esportando oro, argento e altre cose di cui essi abbondano». Alcune ragioni a sostegno di quest'affermazione: «Presso tutte le nazioni viene considerato disumano accogliere in malo modo ospiti e pellegrini, a meno che vi siano cause speciali per trattarli così; e viceversa, viene considerato umano e civile comportarsi bene con loro».
«All'inizio del mondo (quando tutto era in comune) era lecito a ognuno trasferirsi e muoversi in qualunque regione volesse. Ora, non pare che la divisione dei territori abbia annullato questo diritto,
dal momento che l'intenzione dei popoli non è mai stata di abolire, con quella divisione, la comunicazione reciproca tra gli uomini» 19.
« Non sarebbe lecito ai francesi proibire agli spagnoli di muoversi in Francia o anche di vivervi, ne viceversa, purché questo non rechi loro danno o tanto meno faccia loro torto».
b) Diritto di difesa.
Se gli indios attaccano gli spagnoli malgrado la reiterata volontà di pace da questi dimostrata in parole e azioni, « gli spagnoli possono difendersi e fare tutto ciò che è necessario per la propria sicurezza, perché è lecito respingere la forza con la forza » («vim vi repellere licet»).
c) Diritto di attacco.
Se gli indios continuano a essere ostili agli spagnoli e cercano di annientarli, allora gli spagnoli possono trattarli da nemici « e applicare loro tutti i diritti di guerra e sottometterli deponendo i loro antichi signori e istituendone dei nuovi, sempre però con senso della misura e in proporzione alla loro colpa e ai torti da loro fatti» ( «omnia belli iura in illos prosequi et spellare illos et in captivitatem redigere... ») 20.
2. Il secondo titolo è la «propagazione della religione cristiana »
«I cristiani hanno il diritto di predicare e di annunciare il vangelo nelle terre degli indios».
La ragione: «Se hanno il diritto di viaggiare e di commerciare con loro, possono insegnare la verità a chi è disposto ad ascoltarli, soprattutto a proposito di ciò che riguarda la salvezza e la felicità, molto più che a proposito di ciò che riguarda una qualsiasi verità umana».
Gli indios possono convertirsi o no, ma non impedire la predicazione ne eventuali conversioni « uccidendo o punendo in altri modi coloro che si sono convertiti a Cristo, o allontanandoli con minacce o con la paura ». Se si comportassero così, si può muovere loro guerra e sottometterli alla conquista.
Questo vale «per se loquendo» cioè in linea di principio Di fatto però:
a) può accadere che con questa operazione «si impedisca la conversione degli indios invece di promuoverla e diffonderla. Bisogna perciò cercare, al di sopra di ogni altra cosa, di non mettere ostacoli al Vangelo; se no, bisogna abbandonare questo modo di evangelizzazione e cercarne un altro » («potius impediretur conversio barbarorum quam quaereretur et propagaretur. Et ideo hoc in primis cavendum est ne offendiculum ponatur Evangelio; si enim poneretur, cessandum esset ab hac ratione evangelizandi et alia querenda esset»). «Ma noi abbiamo mostrato che quelle cose (la onquista) sono lecite di per sé» («per se haec licent»).
b) «Non dubito che vi sia stato bisogno della forza e delle armi perché gli spagnoli potessero restare in quelle terre; ma ho paura che si sia andati più in là di quanto permettano il diritto e la morale» («timeo ne ultra res pregressa sit quam ius fasque permittebant »).
« Non bisogna mai perdere di vista quello che ho appena detto, perché ciò che è lecito di per sé non diventi cattivo in forza delle circostanze» («ne hoc quod per se licitum est reddatur malum ex circumstantia»).
3. Terzo titolo: «Se alcuni indios si sono convertiti a Cristo e i loro capi vogliono riportarli all'idolatria con la forza e il timore, gli spagnoli se è necessario possono, se non è percorribile un'altra strada, muovere guerra e costringere gli indios perché desistano da quella violenza...».
4. Quarto titolo: «Se una gran parte degli indios si fosse convertita a Cristo, con le buone o anche con le cattive, cioè usando minacce e paure e altre forme ingiuste, a patto però che siano ora veramente cristiani, il Papa potrebbe, per una causa ragionevole, dare loro un capo cristiano e togliere i loro capi infedeli, sia che essi lo chiedano o no».
5. Quinto titolo: «La tirannia o degli stessi governanti degli indios o delle loro leggi a danno degli innocenti; per esempio perché sacrificano persone innocenti o uccidono persone innocue per mangiarne le carni».
«Da questo punto di vista ha ragione quell'opinione secondo cui possono essere puniti per i peccati contro natura; se si intende, ripeto, quando sono a danno di innocenti...» 21.
6. Sesto titolo: «Una scelta vera e volontaria; per esempio, se gli indios, vedendo l'amministrazione saggia e l'umanità degli spagnoli, spontaneamente volessero, sia i capi che gli altri, ricevere come sovrano il re di Spagna... Infatti qualsiasi popolo ha il diritto di eleggere il governante, e non è neppure necessario il consenso di tutti ma, a quanto pare, basta il consenso della maggioranza».
7. Settimo titolo: Per dare una mano ad amici o alleati: come si dice abbiano fatto gli spagnoli a cui si rivolse una etnia dell'America Centrale «perché li aiutassero a sconfiggere i messicani» 22.
8. Ottavo titolo: incerto: «Non mi arrischio ne a darlo per buono ne a condannarlo in assoluto» «de quo ego nihil affìrmare audeo, sed nec omnino condemnare»).
Eccolo: «Questi indios, sebbene non del tutto idioti («amentes»), se ne discostano di poco, e non sono perciò capaci di istituire o amministrare uno stato legittimo e ordinato, neppure entro i limiti umani e civili». «Perciò non hanno leggi adeguate ne magistrati, anzi non sono neppure del tutto all'altezza per governare la famiglia. Perciò ancora, non hanno lettere ne arti non solo liberali ma neppure meccaniche, non hanno un'agricoltura accurata, un artigianale, e molte altre comodità e perfino cose necessario per vivere da uomini». Insomma, «è come se fossero in tutto e per tutto dei bambini» («sicut si omnino essent infantes»), per i quali è « non soltanto lecito ma estremamente conveniente... essere affidati al governo di persone più sagge» («tradi ad gubernationem sapientiorum»). E un po' come se « per un caso scomparissero tutti gli adulti e vi restassero soltanto fanciulli e adolescenti, con un certo uso della ragione ma ancora negli anni dell'infanzia e della pubertà; in tal caso sembra evidente che i capi potrebbero prendersene cura e governarli, finché sono in quella condizione ("quamdiu essent in tali statu")».
Giudizio di Vitoria: «Questa prospettiva potrebbe essere fondata sul precetto della carità, dal momento che essi sono i nostri prossimi e noi siamo tenuti a curare i loro beni». Ma... I «ma» sono due: questa proposta la presento «sine assertione» («senza affermarla con certezza») e «cum limitatione» (« con una riserva ») : «che tutto venga fatto per il bene e l'utilità degli indios e non soltanto per il lucro degli spagnoli, mentre quelli non ne riceveranno vantaggi ma solo svantaggi» 23.
Conclusione
«Da tutta questa discussione sembra risultare che, se venissero meno tutti questi titoli, in modo che gli indios non offrano alcuna occasione di dichiarare loro guerra ne vogliano avere gli spagnoli come capi ecc., cesserebbero tutti i viaggi e i commerci, con grande danno per gli spagnoli e per gli interessi dei loro re: cosa inaccettabile» («quod non esset ferendum»).
Ma questo pericolo non sussiste, perché: — il commercio non è legato alla conquista (vedi i portoghesi); — ormai molti indios sono convertiti al cristianesimo, e il re non potrebbe («nec expediret nec liceret principi») abbandonare del tutto l'amministrazione di quei territori 24.
note di commento di
Armido Rizzi
(da http://rivista.ssef.it)
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NOTE:
1 La lunga introduzione (Relectio, pp. 4-11) è dovuta alla delicatezza della materia: si tratta di questioni riguardanti la coscienza non di cittadini qualsiasi ma dei regnanti di Spagna: Isabella e Ferdinando prima, Carlo V ora. Non è « superfluo, anzi temerario » (supervacaneum, temerarium) discutere una decisione presa da rè così giusti e religiosi? Essi possono averlo fatto soltanto « dopo aver studiato attentamente tutti gli aspetti che riguardano la sicurezza del loro status e della loro coscienza » (p. 5), soprattutto in una faccenda così importante. Che l'intervento di Vitoria fosse temerario lo mostrerà la reazione di Carlo V (cf p. 648); al teologo basta sapere che esso era suo compito ineludibile.
2 Prima di affrontare i singoli titoli pro o contro la conquista. Vitoria discute la questione di principio e preliminare, che è la condizione di verità di ogni altra: se nella conquista si avesse a che fare soltanto con soggetti incompiuti, di cui poter disporre appropriandosi delle loro terre e dei loro corpi, o non invece con persone, con soggetti capaci di diritti, la cui presenza costituiva dunque, come tale, un limite o addirittura una preventiva negazione dei diritti degli spagnoli.
3 L'originaria contrapposizione greco-barbaro, cioè uomo civile-uomo carente di civiltà, era trapassata in quella di romano-barbaro, giungendo fino al Medioevo.
Qui la contrapposizione principale fu di cristiano e pagano, che si affiancò alla precedente « talora assorbendola in sé, talora invece rimanendone ben distinta » (F. CHABOD, Storia dell'idea d'Europa, Laterza, Bari 1964, p. 29 (23ss.).
5 Sulla nozione di « dominium » in Tommaso et J. BRUFAU PRATS, La escuela de Salamanca ante el descubrimiento del Nuevo Mundo, San Esteban, Salamanca 1989,
pp. 11-38.
6 Questo punto capitale della natura/ragione umana come imago Dei e quindi fondamento del dominium vien fatto valere direttamente contro quella che .possiamo chiamare l'incipiente tradizione « protestante ». Ma esso rappresenta anche un correttivo sostanziale nei confronti della concezione aristotelica della natura umana: se la sua base ontologica è la imago Dei, l'attualità o meno del suo esercizio diventa secondaria rispetto a questo fondamento assoluto. L'idea del bambino come « propter se et non propter alium » e dell'idiota che « potest pati iniuriam, ergo habet ius » (vedi appena avanti) ha come sfondo una concezione della persona e della sua dignità che
va ben oltre il concetto aristotelico di natura umana.
8 La prima classificazione dei « barbari » in base al livello di civiltà da essi raggiunto sarà quella, famosa, del gesuita José de Acosta (De procuranda Indorum salute, CSIC, Madrid 1984, vol. I, pp. 61ss.): i selvaggi (che abitano «in silvis » e non conoscono istituzioni civili); coloro che abitano nelle città e hanno forme di cultura e di governo; coloro che, oltre a queste, conoscono le «litterae» e hanno quindi sviluppato forme di pensiero anche filosofìco. Tra questi ultimi vengono annoverati soprattutto i cinesi (ai quali manca dunque soltanto la luce della rivelazione, come agli antichi greci e romani); rappresentanti esemplari del secondo grado sono i messicani e i peruviani, sotto l'impero rispettivamente degli aztechi e degli incas; selvaggi sono tutti gli altri gruppi scoperti nel Nuovo Mondo. La descrizione di Vitoria corrisponde a quella del secondo grado di Acosta (anticipandola di circa un quarantennio) e testimonia l'interesse e lo scrupolo con cui egli seguiva vicende e scoperte nel Nuovo Mondo, soprattutto in Perù (la scoperta dell'impero degli Incas contava appena pochi anni).
9 Su questo punto vedi avanti: ottavo titolo valido e nota corrispondente.
10 Nel De potestate civili, una relectio di qualche anno prima. Vitoria dichiara e argomenta che la sostanza del potere politico è di diritto divino, perché l'uomo è per natura un essere sociale; ma i modi di governo e la determinazione di chi debbano essere i governanti sono di diritto positivo: ogni collettività sceglie i propri capi. Cf VENACIO D. CARRO O.P., La teologia y los teólogos-juristas espanoles ante la conquista de América, Salamanca 1951, pp. 39ss. (Quest'opera massiccia, malgrado il suo taglio apologetico nei confronti della Spagna, rimane la miglior presentazione d'assieme del dibattito del Cinquecento).
11 Sulla reciproca autonomia tra potere civile e potere ecclesiastico de Vitoria si era pronunciato nel De Potestate Ecclesiae (ct CARRO, cit., pp. 342ss.).
12 Tutta questa parte è una critica implicita al Requerimiento, il manifesto che i conquistadores leggevano agli indios intimando l'accettazione dell'autorità della Corona di Spagna (in base alla donazione pontificia) e l'ascolto della predicazione cristiana come condizione perché gli spagnoli rinunciassero a sottometterli con la forza. Cf contesto e testo del documento in L. HANKE, La lucha por la justicia en la conquista de América, Istmo, Madrid 1988 (orig. inglese 1949), pp. 48-55.
13 La condotta dei cristiani nel Nuovo Mondo come contro-argomento per la conversione degli indios è un tema caro soprattutto a Bartolomé de Las Casas e a José de Acosta. Ma la critica di Acosta abbraccia anche il cattivo esempio degli ecclesiastici: amore del guadagno e cedimenti alla lussuria.
14 La libertà dell'atto di fede è un leit-motiv dell'azione missionaria nel Nuovo Mondo: soprattutto domenicani e gesuiti ne fanno un punto d'onore del loro metodo pastorale. Una qualche coazione agli inizi della predicazione viene invece ammessa dai francescani, grandi apostoli della prima evangelizzazione in Messico, in base al compelle intrare della parabola del banchetto (Lc 14,16-24) e dentro una certa temperie apocalittica: cf J.L. PHERLAN, The Millenial Kingdom of the Franciscans in the New World, Univ. of Calif., Berkeley - Los Angeles 1970 2, pp. 5ss.
15 Questo punto va sottolineato: cannibalismo ecc. sono sì peccati «contro natura », e dovrebbero allora essere proibiti dall'autorità civile. Ma né il Papa né la corona di Spagna possono arrogarsi tale autorità, che nel caso degli indios spetta esclusivamente ai loro capi naturali. Diverso sarà il caso dei sacrifici umani, che appartengono a una differente tipologia di peccato (cf avanti).
17 Mantengo la formulazione adottata da Vitoria («De titulis legitimis quibus barbari potuerunt venire in dicionem Hispanorum»), per quanto essa non sia esatta, almeno per i due primi casi: a giustificare la conquista non è infatti, evidentemente, né la « naturale socievolezza » dell'uomo né il diritto a predicare la fede cristiana. Questi sono soltanto i princìpi a partire dai quali vengono elaborati, date determinate circostanze, i rispettivi titoli veri e propri.
18 In un testo di sapore erasmiano Vitoria attribuisce alla debolezza e fragilità dell'uomo la necessità di essere affidato alla cura altrui, e dunque di vivere in società: citaz. in R. HERNANDEZ, Derechos humanos en Francisco de Vitoria. Antologia, San Esteban, Salamanca 1984, p. 43 e p. 49.
19 Il « diritto delle genti » è quindi come un surrogato della condizione edenica (o età dell'oro): «Habet totus orbis, qui aliquo modo est una respublica, potestatem ferendi leges aequas et convenientes omnibus, quales sunt in iure gentium » (De pot. civ.).
20 Qui, come nel titolo precedente, de Vitoria non fa che applicare la dottrina della «guerra giusta». Ma la puntualizzazione tré volte ricorrente («per se loquendo»,«per se licent», «per se licitum est») testimonia la consapevolezza che, applicata alla predicazione de vangelo, quella dottrina presenta risvolti pericolosi perché entra in collisione con il fine in ordine al quale viene ammessa.
21 Non è dunque, la ragione formale, il fatto che sacrifici umani e cannibalismo siano peccati contro natura (titolo già inserito tra quelli invalidi: cf sopra), ma quella modalità specifica che ne fa un'offesa alla vita di innocenti. Più chiara la formulazione usata altrove: «Ratio quare barbari debellare possunt non est quia comedere carnes humanas aut sacrificare homines est contra legem naturae, sed quia inferunt iniuriam hominibus» (De temperantia, in BRUFAU PRATS, La Escuela..., cit., p. 132 nota 18). Si potrebbe dire: questi peccati costituiscono un giusto titolo di intervento perché sono contro la «naturalis societas et communicatio» (primo titolo) che è l'essenza dell'uomo.
22 II settimo titolo risponde a situazioni reali e ripetute: molte etnie sottomesse dagli Aztechi o dagli Incas salutarono inizialmente negli spagnoli dei liberatori. Perciò anche il sesto titolo, che ha storicamente il sapore di feroce ironia, aveva rappresentato inizialmente un'effettiva possibilità, che gli spagnoli bruciarono ben presto con le loro crudeltà e con lo sfruttamento degli indigeni.
23 Con una certa oscillazione rispetto a quanto affermato nella prima sezione, de Vitoria esprime qui il dubbio sulla capacità attuale degli indigeni americani di governarsi da soli. E prospetta, pur con esitazione, la teoria della loro minorità e della necessaria tutela da parte degli spagnoli; il tutto però ad tempus, come mansione educativa verso la «maggiore età» razionale. Su tutto questo problema nel dibattito del ‘500 cf A. PAGDEN, La caduta dell'uomo naturale. L'indiano d'America e le origini dell'etnologia comparata, Einaudi, Torino 1989, DD. 68-140