[...] La distinzione dei ceti è assai marcata a Tahiti, con una disparità crudele. I re e i dignitari hanno diritto di vita e di morte sui loro schiavi e servi; sarei perfino tentato di dire che hanno quel barbaro diritto anche sulla gente del popolo, che chiamano "tataeinu" (uomini vili); è comunque certo che tra quella classe sfortunata si prendono le vittime per i sacrifici umani. La carne e il pesce sono riservati alla tavola dei nobili; il popolo vive solo di legumi e di frutta. Perfino il modo di farsi luce di notte differenzia le condizioni sociali, e il tipo di legno che brucia per la gente di censo non è lo stesso di cui al popolo è permesso servirsi. Solo i re possono piantare davanti alle loro case l'albero che noi chiamiamo "salice piangente" e loro "albero del gran Signore". È noto che curvando i rami di quell'albero e piantandoli in terra si da alla sua ombra l'orientamento e l'estensione che si desidera; a Talliti costituisce la sala da pranzo dei re. I notabili hanno livree per i loro valletti; secondo il rango più o meno elevato dei padroni, i servi portano più o meno alto il pezzo di stoffa di cui si cingono. I servi dei capi portano quella cintura all'altezza delle ascelle, mentre ai servi dell'ultima classe dei nobili copre solo le reni. Le ore consuete dei pasti sono quando il sole tocca il meridiano e quando è tramontato. Gli uomini non mangiano insieme con le donne, che si limitano a servire agli uomini i piatti che i servi hanno preparato. A Tahiti si porta regolarmente il lutto, che si chiama "eeva". Tutta la popolazione porta il lutto per i suoi re. Il lutto per i padri dura molto a lungo. Le donne portano il lutto per i mariti, ma questi non fanno altrettanto. I segni del lutto consistono nel portare in testa un'acconciatura di piume il cui colore è consacrato alla morte e nel coprirsi il volto con un velo. Quando le persone in lutto escono di casa, sono precedute da schiavi che battono le nacchere in un modo particolare; quel suono lugubre avverte tutti di tirarsi da parte, vuoi per rispetto al dolore delle persone in lutto, vuoi perché il contatto è ritenuto sinistro e di malo augurio.
Nel caso di malattie gravi, tutti i parenti prossimi si riuniscono a casa del malato. Lì mangiano e dormono fino a che sussiste il pericolo; ciascuno a turno cura e veglia il malato. Fanno uso anche dei salassi, ma non li praticano né nel braccio né nel piede. Un "taua", cioè un medico o sacerdote di rango inferiore, batte con un legno tagliente sul cranio del malato; in tal modo apre la vena che noi chiamiamo "sagittale" e, quando il sangue è colato a sufficienza, gli cinge la testa con una fascia che ne arresta la fuoriuscita; il giorno dopo lava la ferita con acqua [...]
[...] Si vedono spesso i Tahitiani nudi, senza altra veste che una cintura. I notabili invece si cingono di solito di un ampio pezzo di stoffa che lasciano cadere fino alle ginocchia. Quello è anche il solo abbigliamento delle donne, ed esse sanno drappeggiarsene con tale arte da rendere finanche civettuolo quel semplice indumento. Poiché le donne tahitiane non stanno mai al sole senza coprirsi e si proteggono il viso dai suoi raggi con un piccolo copricapo di canne guarnito di fiori, sono assai più bianche degli uomini. Le donne hanno i tratti assai delicati, ma ciò che soprattutto le distingue è la bellezza del corpo, la cui linea non è affatto sfigurata da quindici anni di tortura. Quanto al resto, mentre in Europa le donne si tingono le guance di rosso, quelle di Tahiti si tingono di blu scuro le reni e le cosce: è un ornamento e al tempo stesso un segno di distinzione. Anche gli uomini si ornano in quella guisa. Non so come facciano a imprimersi quei segni indelebili; penso che lo facciano bucando la pelle e versandovi il succo di certe erbe, come l'ho visto praticare dagli indigeni del Canada [...]