Bernard Le Bouyer de Fontenelle - Lettera sulla nudità dei selvaggi


Lettera a Madame la Marchesa di ***
sulla nudità dei selvaggi

          Madame,
     non so come rispondere alla lettera che mi avete fatto l’onore di scrivermi, né come trattare questo argomento della nudità dei selvaggi, senza offendere la vostra modestia: l’argomento è molto delicato; mi asterrò dalle oscenità, ma non so se potrò tenersi al riparo da idee oscene.
Come, dite voi, è possibile sopportare, senza arrossire di vergogna, la presenza di uomini e di donne tutti nudi? Come è possibile vedere nelle chiese, senza distrarsi, delle cose simili? In che modo i ministri del Signore, che non tollerano che si stia in chiesa senza avere il seno e le braccia coperti, possono permettere che quelle genti entrino nel tempio e le donne portino scoperto un seno che nelle giovani ballonzola come degli agnelli sul prato, e che gli uomini, la cui carnagione e l’espressione naturale dei muscoli annunciano e promettono i felici effetti del vigore maschile? Come può avvenire ciò senza che il bel sesso ne sia turbato e i maschi ne siano eccitati, senza offendere il pudore che possediamo dalla nascita e che è naturale? Voi siete sicura, Madame, che non può essere altrimenti. L’esperienza tuttavia distrugge le vostre ragioni, e mostra che ciò che si chiama pudore non deve essere considerato al rango delle idee che chiamiamo innate, e che non è che un effetto della educazione, del costume e dell’uso.
     Se la Natura avesse donato all’uomo qualche parte realmente vergognosa, da non esporre alla vista, essa è troppo saggia per non averlo dotato al contempo di qualche altra parte, con cui coprirle e nasconderle alla vista. Solo quando hanno imparato le conseguenze della nudità e l’idea che ci si forma del pudore, i bambini cominciano ad arrossire come i loro genitori e i loro maestri.
     Prova che questo pudore è effetto dell’educazione è il fatto che il bel sesso non arrossisce vedendo nei quadri dei bambini che rappresentano degli amorini, dei quali nulla è nascosto; ma tutti protesterebbero, se questi amorini fossero femmine. Si cammina tranquillamente in un giardino pieno di belle statue tutte nude, che rappresentano fauni ed atleti, senza esserne turbati e senza arrossire. Un grande principe, che aveva fatto coprire con dei pampini fatti di tufo, fece dire a una Dama: Oh, che belle cose vedremo quest’autunno, quando le foglie cadranno!
     Si guarda con una sorta di indignazione chi conserva nel suo studio dei quadri o delle incisioni che contengono delle nudità considerate oscene, mentre si ammirano un Ercole, una Venere Medicea, ed altre divinità dell’antichità pagana, esposte agli occhi del pubblico, in palazzi i cui proprietari sono di primo rango tra i ministri della religione. Convenitene, Madame, si tratta degli effetti dell’educazione, del costume, della prevenzione. Ecco una prova ancora più efficace: voi non arrossite certamente, Madame, nell’esporre allo sguardo ed all’ammirazione pubblica il vostro bel viso cosparso di rose, i vostri begli occhi e tutte le grazie con le quali la Natura vi ha favorito, mentre la più bella ottomana, non dico la sultana del serraglio, ma la sposa di un semplice maomettano, crederebbe di aver perso il proprio onore, se un uomo diverso dal marito vedesse il suo viso. Salendo in battello sul Nilo da Alessandria al grande Cairo, ho visto spesso delle egiziane che venivano ad attingere acqua e si gettavano sulla testa l’orlo della camicia per coprirsi il viso, a rischio di mostrare ai nostri occhi ciò che voi sareste addolorata, Madame, di mostrare a chiunque al mondo.
     In altri paesi, non è meno vergognoso per le donne mostrare i piedi, che spesso storpiano ferrandoli, per renderli più piccoli. Gli Azenagi, popolo del Senegal, coprono le loro bocche con più cura delle parti naturali. Forse che il viso, la bocca, i piedi di queste genti sono parti vergognose, che non si osa mostrare senza offendere il pudore e perdere l’onore? No, certamente, mi direte voi, per chi non abbia un tale sentimento e creda, al contrario, che sia bello e naturale mostrarli, come anche abbellirli ed aumentarne le attrattive; e voi vi burlate, ed a ragione, delle idee ridicole di questi popoli. Essi, al contrario, credono che certe idee debbano essere innate nelle loro donne, come voi credete che sia naturale coprire le altre parti del vostro bel corpo.
     Se il pudore fosse qualche cosa di naturale in noi, Adamo ed Eva, creati nudi nel paradiso terrestre, sarebbero arrossiti per il loro stato, mentre la vergogna li ha sorpresi solo dopo il loro peccato, ed il pudore, che noi consideriamo una virtù, fu quasi una punizione per la loro disobbedienza. Allora coprirono la loro nudità con una foglia di fico – non dispiaccia a quelli che, pensando che una tale foglia fosse troppo piccola, la sostituirono con una foglia di banano, che misura da cinque e dieci piedi di lunghezza su due di larghezza. Io dico che una tale foglia non era necessaria, li avrebbe indubbiamente imbarazzati, se l’avessero presa come primo pezzo dell’armatura d’un cavaliere, come si esprime Rabelais, vale a dire per usarla come brachetta: d’altra parte, donarle una così larga copertura significa fare torto ad Eva, e quand’anche Adamo fosse stato simile al Dio di Lampsaco, una tale foglia gli sarebbe stata larga. La Camisa dei Caraibici, come già vi ho fatto notare, Madame, non è più grande di una normale foglia di fico, eppure copre interamente la loro nudità: e lo straccio che gli uomini portano attaccato alle reni non è largo che quattro pollici; il resto del loro corpo è nudo, ma non se ne vergognano.
     E perché dovrebbero arrossire? Prima dell’invenzione delle arti e dei mestieri, prima che si fabbricassero le stoffe, gli uomini non andavano nudi? E questo uso di andar nudo è dovuto durare molto a lungo, perché nei tempi eroici gli Ercole, gli Alcide e gli altri eroi della Grecia originaria erano coperti solo con pelli di leone o di altre bestie che avevano ucciso, e le cui spoglie usavano come abbigliamento più che come trofeo. Queste pelli coprivano loro le spalle, ma non potevano bastare per coprire le nudità: è così almeno che li si rappresenta. A questo proposito, Madame, permettete che vi racconti un piccolo aneddoto. Diverse dame e cavalieri di fermarono davanti alla statua di un Ercole antico, e dopo averla analizzata ed ammirata, uno dei cavalieri volle imprudentemente far loro osservare che un difetto, che consisteva in un errore di proporzione: “Oh! ribatté una dama del gruppo, se voi foste tutto nudo come questo Ercole, con il freddo che fa, probabilmente troveremmo in voi ancor meno proporzione.”
     Non sono soltanto i Caraibici che vanno nudi; sono tutti i popoli che si trovano in quel vasto continente: i rigori delle zone glaciali, la varietà di quelle temperate e gli ardori di quella torrida non sono riusciti a far prendere loro degli abiti. Solo i selvaggi del nord del Canada si coprono con alcune pelli, quando il paese è pieno di nevi e di ghiaccio; il loro corpo avvezzo alle intemperie li rende quasi insensibili al freddo dell’inverno, e lo stesso corpo abituato ai grandi calori gli impedisce di avvertire i raggi brucianti del sole: poiché tutte le piume, tutti i ninnoli che usano i Messicani e i Peruviani sono bizzarrie che non li difendono né dal freddo né dal caldo e che, lasciando scoperte tutte le parti del loro corpo, non fanno che velare quelle che si chiamano naturali.
     Tutti gli Africani vanno ugualmente nudi. Gli Ottentotti del Capo di Buona Speranza non sono coperti che della sporcizia e degli orridi escrementi degli animali, di cui si cospargono il loro corpo. Se si cercasse con più cura, si scoprirebbe che molti Asiatici vanno ugualmente nudi; soprattutto, si troveranno nelle Indie Orientali i Brahmini e i Fachiri, e nell’Impero Ottomano i Dervisci, gli uni e gli altri tipi di uomini religiosi che, giunti a un punto di pretesa santità, vanno impunemente nudi in pubblico. Da ciò che dico consegue che quasi la metà degli uomini che sono sulla terra vanno nudi senza vergognarsi della loro nudità; e quindi ciò che chiamiamo pudore non è una cosa innata in noi.
     Quei popoli che sono abituati a vedere scoperte tutte le parti del corpo umano non sono più turbati di quanto lo siamo noi vedendo il volto di una donna. Quale ragione infatti c’è per nascondere alcune parti del corpo e mostrarne altre? Quelle che nascondiamo, si dirà, sono gli scarichi naturali del cormo umano, che giustamente si ha vergogna di mostrare. Ma la bocca, il naso, le orecchie, non sono sudici come le altre parti? Le esalazioni spesso infette, gli sputi, il muco non sono più disgustosi dei liquidi che escono dalle parti naturali?
     C’è qui certamente qualche altra ragione. Perpetuare la specie umana non dovrebbe essere più vergognoso che conservare l’individuo. Il filosofo Cinico aveva le sue buone ragioni per dire che poteva tranquillamente concepire un uomo in pubblico, così come mangiava in strada quando aveva fame. L’azione che conserva la specie umana dovrebbe essere più nobile, ed in effetti lo è. Quante feste, quanto giubilo, quante cerimonie anche religiose si fanno in occasione delle nozze? E qualcuno ignora a che scopo ci si sposa? Tutti sanno quale atto ne segue, ne abbiamo delle idee chiare e distinte; tuttavia le leggi dell’onore e del pudore ci impediscono di nominarlo e di praticarlo in pubblico. E’ una cosa che si confida in segreto, ed è un crimine violare il segreto; non se ne può parlare che con giri di parole; ci si nasconde con cura per compiere un’azione di cui poi ci si gloria; si ha vergogna di procreare in pubblico un bambino, eppure si è tutti felici, tutti gloriosi per averlo fatto; si pronunciano arditamente i nomi di tutti i crimini, uccidere, rubare, assassinare, crimini che distruggono il genere umano; ci si vergogna di nominare ciò che lo conserva, che lo perpetua: quale è la ragione di una bizzarria, di una varietà così grande di sentimenti riguardo ad una stessa azione?
     Ecco, Madame, cosa credo. Il pensiero o il fatto di confessare le nostre imperfezioni e le nostre debolezze, causa ciò che chiamiamo vergogna: ognuno cerca di allontanare da sé questa confessione, fino a che gli è possibile; e benché non dipenda da noi essere belli e ricchi, noi ci vergogniamo della bruttezza e della povertà, o di qualche infermità naturale che abbiamo. E’ lo stesso se non abbiamo alcune qualità che convengono al nostro stato: il soldato si vergogna della sua viltà, il dottore della sua ignoranza, il marchese della sua rozzezza; ma l’uomo di paese non ha alcuna vergogna d’essere grossolano, l’uomo di chiesa si evitare i pericoli della guerra, i nobili di essere ignoranti; un damerino si gloria di fare il simpatico appresso al bel sesso, mentre un magistrato si crederebbe disonorato, se facesse la stessa cosa. Da ciò deduco che la vergogna consiste in ciò che marca una differenza con i nostri simili, tanto riguardo al corpo quanto riguardo allo spirito.
     Ciò non mette capo a niente, direte; esporre agli occhi del pubblico ciò che è naturale e uguale in tutti gli uomini non dovrebbe essere vergognoso, perché non in ciò non c’è nulla che possa mortificare il nostro amor proprio e il desiderio interiore che abbiamo di meritare la stima degli uomini.
     Perché allora è vergognoso mostrare certe parti del nostro corpo, mentre ci gloriamo di esporre le altre? Non possono essere una prevenzione, un costume, l’effetto dell’educazione, delle idee che ci sono state inculcate, che ci fanno arrossire quando mostriamo scoperti il ventre, il seno, le natiche, nei paesi in cui si usano gli abiti. Queste ragioni fanno ugualmente trovare vergognoso mostrare il viso, la bocca, i piedi, presso i popoli in cui è proibito mostrarli.
Piuttosto, direte voi, avviene che gli uomini, ciascuno nel proprio cantone, si sono posti delle leggi ed hanno imposto una punizione, un disprezzo per chi le viola, di modo che sia increscioso non conformarsi ad esse. Nei paesi in cui sono prescritti gli abiti, dove c’è il costume e la regola di coprire i corpi, si ha vergogna di comparire nudi e di mostrare le parti che si è convenuto di nascondere: di più, in certi paesi non è possibile comparire in pubblico che con gli abiti propri di ogni stato; un prete, un magistrato arrossirebbero se dovessero comparire in pubblico con gli abiti da paesano o da cavaliere, o un galantuomo vestito e acconciato da donna; ed il monaco che sarebbe disonorato se portasse la spada ed il pennacchio in Francia e in Italia sembrerebbe arditamente in stato di guerriero in Inghilterra ed Olanda. Le Maomettane Arabe, Beduine, sarebbero considerate infami in una città della Turchia, se vi comparissero a viso scoperto, mentre sono donne molto oneste nei loro Douar(1), quando mostrano il viso, le braccia e una parte del corpo nudi.
     La vergogna non consiste dunque nel comparire nudi o vestiti, ma nel violare le leggi, gli usi, i costumi stabiliti dalle leggi proprie di ciascun paese: di conseguenza i selvaggi e gli altri popoli, in cui vige la nudità, possono andare nudi senza arrossire, senza vergognarsene, senza offendere il pudore, perché non contravvengono a nessuna legge e seguono i costumi stabiliti.
Cerchiamo, Madame, qualche altra buona ragione che abbia portato a stabilire il pudore e la vergogna di andare nudi. Gli uomini, nelle loro idee differenti, considerano come virtù ciò che gli altri stimano come vizio: non c’è vergogna nel comparire in pubblico fuori di sé presso gli Svizzeri e i Tedeschi, mentre in Spagna si perde l’onore se ci si ubriaca; derubando i passanti si è puniti alla ruota in certi paesi, mentre presso gli Arabi Saraceni è motivo di gloria essere trovati cariche delle spoglie dei viaggiatori; e così per mille altre azioni degli uomini. Ma il matrimonio è sembrato una cosa assolutamente necessaria alla società in tutti i popoli: agli uni è stata ordinata una sola donna, mentre agli altri è stata permessa la poligamia, e presso tutti è stata ricercata l’unione delle famiglie. Il dettaglio del vantaggio del matrimonio è troppo lungo da esporre: per goderne si è creduto che bisognasse renderlo politico e religioso, e permettere onestamente con una cerimonia pubblica l’atto che segue necessariamente il matrimonio e lo rende sacro; e per ovviare agli abusi che questo atto, naturale e necessario alla propagazione, conservazione, moltiplicazione della specie umana avrebbe potuto comportare se fosse stato troppo frequente e troppo pubblico, si è stabilita ovunque una legge, una convenzione: che i piaceri dell’amore si prendano in segreto.
     Si sono visti dei Legislatori che, nell’intento di rendere quest’atto più fruttuoso, non permettevano ai giovani coniugi di vedersi che in segreto e quadi furtivamente, essendo vergognoso per loro essere sorpresi, anche solo in conversazione familiare, con le loro spose, e ciò in base a questo assioma: Noi amiamo ciò che ci è proibito.
     Altri popoli hanno reso esecrabili le donne nel tempo della loro indisposizione periodica, ritenendo sudicio tutto ciò che toccano. Le cerimonie religiose degli abati Banier e Mascrier (2) contengono tutte le leggi su questo argomento, ma ripetute così spesso e con tanta affettazione, che annoiano e disgustano: vi si trova un accanimento su questo tema che irrita e annoia, e sarebbe così anche se questi sette volumi in folio, che questi abati hanno fatti stampare, si riducessero della metà, che sarebbe poi il loro giusto valore. Il motivo di tutte queste leggi contro l’impurità delle donne non può derivare che da una idea fisica, poiché se ci si avvicina alle donne in questo periodo di infermità si fanno dei bambini malati; e per evitare queste spiacevoli conseguenze, si è fatto tutto il possibile per allontanare gli uomini dalle loro donne, quando loro sono in quel periodo: per meglio riuscirvi si sono unite le leggi politiche, quelle dell’onestà, quelle della proprietà, alle terribili leggi religiose che, presso tutti i popoli, costringono gli uomini al loro dovere e li costringono ad eseguire la legge.
     Le stesse leggi politiche che hanno voluto che l’atto non fosse troppo frequente, temendo di renderlo infruttuoso, e mille altre buone ragioni hanno stabilito la legge della purezza, della buona creanza, dell’onestà: si sono dichiarati impudenti, lussuriosi, impudichi e anche infami coloro che violano queste leggi; ne è seguito un orrore verso quelli che si accoppiano pubblicamente ed agli occhi di tutti. Lo stesso Sant’Agostino, nel suo libro La città di Dio(3), crede che sia impossibile consumarlo in pubblico. Ecco come lo spiega: perdonatemi, Madame, questo latino è necessario per provare ciò che dico; ma, poiché voi non lo intendete, ecco, Madame, la traduzione che ne fa Michel Montaigne nei suoi Saggi (4).
     “Come io penso, è per una opinione delicata e rispettosa che un grande Autore religioso ritiene che tale azione sia così necessariamente occulta ed alla vergogna, che nella licenza degli accoppiamenti dei cinici non riesce a persuadersi il desiderio giungesse al suo compimento, ma che ci si limitasse a rappresentare dei movimenti lascivi, giusto per mantenere l’impudenza della professione della loro scuola, e che per far gonfiare ciò che la natura aveva costretto e ritirato avessero bisogno di cercare l’ombra.”
Illum (Diogenem) vel alios qui hoc fessisce referuntur, potius arbitror concumbentium motus dedisse oculis hominum nescientium quod sub pullio gereretur, quam humano premente conspectu potuisse illam peragi voluptatem; ibi enim philosophi non erubescant videri se velle concumbere ubi libido ipsa erubesceret surgere.
Questo latino è licenzioso almeno quanto il francese di Montaigne.
     Si è voluto che quest’atto si compisse in segreto e che di conseguenza si nascondessero le parti che servono a questo atto, pensando che le nudità sono capaci di saziarci prima del tempo e disgustarci. A noi piace indovinare: e i quadri più licenziosi ci eccitano meno di uno che rappresenti un letto con con le tendine perfettamente chiuse, ma da cui fuoriescano quattro piedi, due rivolti verso l’alto e due rivolti verso il basso. Malgrado ciò, non si è potuto fare a meno di dare a queste parti un nome eccellente e molto bello; le si è chiamate parti naturali, con le quali la Natura opera la più nobile delle sue opere, la più utile delle sue operazioni, che è la conservazione della specie, la moltiplicazione del genere umano. Montaigne dice che bisognerebbe chiamare bruti coloro che definiscono brutale tale azione, cui la Natura ci spinge così vivamente.
     Si sono rese queste parti rispettabili e onorabili da parte di tutti rendendole simili a certi Re Indiani, che conservano la venerazione e la specie di adorazione che i loro sudditi hanno per loro solo rendendosi quasi invisibili ai loro occhi; si è voluto che fossero sempre nascoste. In effetti è degno di considerazione il fatto che i maestri di questo mestiere ordinano, come rimedio alla passione amorosa, la vista del corpo nudo che si cerca; per raffreddare la passione basta vedere liberamente ciò che si ama. “Un tale, dice Ovidio, per aver visto allo scoperto le parti segrete che amava s’è trovato d’un colpo libero da ogni passione.” Montaigne fa ancora una bella riflessione: “Tutti corrono per assistere alla morte di un uomo, e nessuno per vederlo nascere: si cerca un vasto campo per compiere battaglie che distruggono il genere umano, e ci si mura in qualche cavità profonda per formarlo e produrlo.”
     Quando queste parti onorevoli sono state deificate, con il nome di Dei dei Giardini, sono stati fatti dei simulacri molto piccoli, ben lontani dalle loro dimensioni naturali: è così che li vediamo negli studi dei curiosi antiquari. Non si è permesso che tale Dio apparisse in trionfo, o troppo attraente per il sesso femminile, affinché le ragazze non se ne curassero troppo, e le donne non avessero troppa voglia di possederlo; affinché tutte potessero dire:
Giammai un così fragile stiletto
ci fece soccombere.
     Quindi si è coperto d’orrore a tutte le rappresentazioni nelle quali questo Dio potesse essere visto in procinto di entrare nel suo tempio, per fare lui stesso o ricevere delle libagioni. E’ state chiamato osceno e impudico tutto ciò che potesse darne l’idea, sia con delle rappresentazioni che con dei discorsi. Le posture dell’Aretino, che si vedono in Vaticano, non ne sono state esentate, nonostante la santità del palazzo. Così sono stati coperti di vergogna e di disonore a tutti coloro che tengono dei discorsi che descrivono o rappresentano il compimento o l’accingersi all’atto; si è nascosto, si è velato con tutta la cura possibile non solo l’ingresso nel tempio, ma anche i boschi che lo circondano: perché questi tempi del corpo umano sono, come le pagode o i templi degli idoli dei Baniani e degli Indiani Orientali, sempre circondati da un boschetto. Si è concepito un orrore per la sporcizia e le periodiche zozzure che escono da questo tempio così caro, così necessario, per il quale, non so perché, si è ispirato al tempo stesso tanto rispetto e tanto orrore.
     Ecco, Madame, a cosa penso, le ragioni che hanno fatto stabilire presso quasi tutti i popoli la legge di coprire le nudità, le parti naturali, e di esercitare di nascosto l’atto della generazione. E nondimeno è opera bellissima in sé dare la vita a un essere eccellente come l’uomo; e le parti che servono a questo scopo non hanno nulla di meno vergognoso e laido delle altre. Adamo ed Eva avevano torto di arrossire della loro nudità; erano soli al mondo, formati l’uno per l’altra dalla mano del Creatore. Queste parti avevano peccato meno della bocca che era servita a mangiare il frutto proibito: è quella che bisognerebbe punire, da cui ci vengono tanti mali. Ma, forse, dopo il peccato di Adamo queste parti si sono trovate in uno stato o troppo trionfante o troppo umile, il che, in un modo o nell’altro, ha indotto Adamo ed Eva ad arrossire. Bisogna ancora sapere in quale dei due stati si trovava Noè allorché il vino lo fece uscire di senno, e per quale ragione Cam si fece beffa di lui: fu per aver visto l’ardore o la fiacchezza del padre?
     Per finire questa lettera vi dirò, Madame, che è certo che tutti nasciamo nudi; che i nostri primi progenitori, nell’infanzia del mondo, dovettero restare in questo stato di nudità, e di conseguenza abituare i loro occhi a certi oggetti, che erano loro indifferenti come lo sono ai bambini ed ai popoli che sono abituati a vederli; e che solo molto tempo dopo ci si è cominciati a vestire. Ascoltiamo Montaigne:
     “Certo, quando mi immagino l’uomo tutto nudo (sì, quel sesso che sembra aver ricevuto più bellezza), le sue tare, la sua dipendenza dalla natura, le sue imperfezioni, trovo che abbiamo molte più ragioni di qualsiasi altro animale di coprirlo. Siamo scusabili per aver preso in prestito ciò che la Natura ha dato loro più che a noi, di ornarci delle loro bellezze e di nasconderci sotto le loro spoglie di lana, di piume, di pelo, di seta. Del resto, notiamo che siamo gli unici animali i cui difetti offendono i compagni, gli unici che si nascondono le azioni naturali della propria specie.”
     Sono, forse, queste ragioni vergognose per l’uomo, che lo hanno fatto acquisire l’abitudine e l’hanno costretto ad usare degli abiti ed a coprire le parti naturali e quelle del suo corpo che ha creduto di dover nascondere alla vista. Quante donne sarebbero indispettite comparendo nude, e quanto perderebbero mostrando al naturale quelle parti imbellettate, che sanno così bene abbellire, e che sono spesso la maggior parte del loro finto merito!
     Sono stati accusati di estrema impudenza i debosciati che si spogliano gli uni davanti agli altri, mischiando anche i differenti sessi ed esponendo le loro nudità agli occhi di tutti. Sono state considerate con orrore quelle sette religiose, ma abominevoli, che per imitare i primi uomini si spogliano interamente dei loro abiti e che nelle loro assemblee religiose pregano tutti nudi e al tempo stesso si uniscono indifferentemente gli uni con gli altri, senza distinzioni di parentela, volendo osservare esattamente il precetto della legge: Crescete e moltiplicatevi.
     Ma mi accorgo che sto insensibilmente entrando in argomenti astratti, che non sono di gusto delle dame; e che, mentre mi ero proposto di scrivere una lettera scherzosa per divertire una persona di spirito come voi, Madame, sto diventando filosofo e politico, e mi sto toccando argomenti della religione, che bisogna sempre rispettare e di cui bisogna parlare il meno possibile, temendo di smarrirsi e di imbatterci in gente rispettabile di qualsiasi popolo e in ministri della religione, quale che sia, che non sappiano stare allo scherzo: e così taccio, assicurandovi che l’uso che autorizza la nudità dei Caraibici non ha nulla di immodesto, impudente, disonesto presso di loro, nello stato di pura natura che hanno conservato; e che, se voi foste abituata come noi, ammirereste il loro buono stato, la pelle liscia e lucida, la loro sanità perfetta, senza che altre idee offendano il vostro pudore e la vostra modestia: perché vi assicuro, Madame, che tutto è solo costume, prevenzione, effetto dell’educazione, e che non c’è niente di innato in noi.
     Ho l’onore di essere, ecc.

(1) Villaggio (N. d. T.)(2) Allude alla Histoire Générale des Cérémonies, moeurs et coutumes religieuses de tous les peuples du monde, (7 volumi, Paris, Rollin 1741) degli abati Banier e Mescrier (N. d. T.).
(3) Lib. XIV, cap. 20.
(4) Lib. II, cap. 12.

America Indios Zo'é

Africa Boscimani

Boscimani si riscaldano intorno al fuoco

Indigeni dello Xingú (testo)

(fonte http://www.yurileveratto.com)


     Nella zona nord-orientale dello stato del Mato Grosso, in Brasile, esiste un’immensa zona protetta, dove non si può disboscare, né costruire. E’ la terra degli indigeni del Rìo Xingù, in realtà appartenenti a diverse etnie e parlanti differenti idiomi.
     Il Rio Xingù, con i suoi 2100 chilometri di lunghezza, è il sesto affluente più lungo del
Rio delle Amazzoni. Il suo bacino fluviale, di 531.000 chilometri quadrati, è paragonabile all’estensione della Francia.
     Nella zona protetta indigena, grande 27.000 chilometri quadrati (più della Lombardia), convivono circa 6000 autoctoni di 14 etnie diverse.
     Secondo l’archeologo Michael Heckenberger, intorno all’800 della nostra era si stabilirono sulle rive dello Xingù alcuni gruppi di Arawak, provenienti dall’attuale Roraima.
     Nella zona vi erano già indigeni di idioma Je, uno dei quattro principali gruppi linguistici del Sud America. Tra il 1400 e il 1600 furono costruiti vari villaggi fortificati, con una superficie fino a 50 ettari. Ulteriori studi archeologici hanno comprovato che nei secoli successivi si stabilirono nella zona popoli di lingua Caribe. Tra il 1650 e il 1750 ci furono i primi scontri tra gli esploratori portoghesi (chiamati bandeirantes) e i nativi, che spesso finirono in tragedie.
     Non fu solo l’impatto bellico, per i portoghesi infatti i nativi rappresentavano solo un problema da eliminare per raggiungere più speditamente ai loro obiettivi, cioè trovare immense ricchezze minerarie, ma anche il diffondersi di nuovi virus e batteri, che ridusse drasticamente la popolazione dei nativi. Proprio intorno al 1750 d.C., alcuni popoli di lingua Tupi-Guaranì, come i Kamayurá e Aweti, giunsero nella zona del Rìo Xingù. Verso la fine del secolo XIX arrivarono altre etnie, come i Trumai, Bakairi, Suyá e Ikpeng.
     Il primo scienziato che giunse nella zona e successivamente fornì importanti informazioni su alcune tribù di nativi e sulla flora e fauna di quei territori fu, l’etnologo tedesco Karl Von den Steinen che, nel 1884, esplorò l’alto corso dello Xingù e alcuni sub-affluenti.
     A partire dal 1954 l’esploratore italiano Antonio Filangieri di Candida Gonzaga compì alcuni viaggi nella zona dello Xingù, riportando importanti descrizioni della vita e degli usi e costumi dell’etnia Carajà.
     La zona protetta fu creata nel 1961, proprio per preservare l’esistenza di popoli indigeni in via di estinzione, oltreché di un’oasi naturale e faunistica di enorme importanza.
     Una delle etnie più importanti che vivono nella zona dello Xingù sono gli Kamayuràs, appartenenti al ceppo linguistico dei Tupi-Guaranì. Di solito vivono in villaggi circolari, dove le malocas (tipiche abitazioni amazzoniche), sono disposte in circolo intorno ad una piazza principale. Possono raggiungere i 30 metri di lunghezza e i 10 d’altezza e ospitare varie famiglie che vivono in modo comunitario.
     L’accesso dei giovani alla vita degli adulti viene ancora oggi controllato attraverso particolari rituali, nei quali i giovani vengono tenuti in una abitazione per un tempo abbastanza lungo (a volte più lungo dell’anno), e possono avere contatto solo con particolari persone. Durante questo periodo alle ragazze viene insegnata una specie di arte marziale, chiamata huka-huka, correlata con le usanze cosmologiche della loro cultura. Di solito per le ragazze questo procedimento coincide con le prime mestruazioni mentre per i giovani la cerimonia è più legata al rafforzamento del loro carattere, per prepararli alla vita comunitaria.
     Questo tipo di cerimonia d’iniziazione alla vita degli adulti si nota anche in altre culture del Sud America, come per esempio i Wayuù della Colombia.
Nella cultura Kamayuràs il tempo che il giovane resterà recluso influirà poi sulla sua vita futura ovvero tanto più starà recluso, tanto più avrà potere una volta tornato nella vita normale. Quando questo rito termina, viene dato un nome definitivo al soggetto, che sostituisce il nome dato alla nascita.
     In alcune di queste tribù si pratica ancora oggi l’infanticidio, di solito nei confronti di bimbi che hanno malformazioni genetiche e dei gemelli. Questa macabra pratica viene a volte eseguita per mezzo dell’affogamento, ma l’ente brasiliano per la protezione degli indigeni sta facendo il possibile per far si che i bimbi ripudiati vengano dati in adozione.
     Quella dei Kamayuràs è una società patriarcale, basata sull’ereditarietà. Il cacique (pronuncia: caciche) è il massimo responsabile della comunità sia dal punto di vista politico che spirituale. Vi è poi la figura del Pajè, uno sciamano rispettato per le sue funzioni religiose che assume a volte anche decisioni politiche su un livello inferiore rispetto al cacique
. I Kamayuràs adottano la poliginia, e il soggetto che ha più spose mostra un più alto status sociale.
     La loro religione è monoteista essendo il Creatore supremo conosciuto come Mawutzinin, che incarnò se stesso nella creatura umana primigenia. Secondo le credenze locali esiste un principio attivo, chiamato Mamaè, che può essere dannoso o benevolo a seconda dei casi. Con i rituali sciamanici basati anche sull’ingestione di piante allucinogene si può avvicinare il Mamaè positivo o scacciare quello negativo.
Molto importanti tra gli indigeni dello Xingù sono le festività chiamate Quarup, nelle quali si da omaggio ad indigeni deceduti. Il rito, incentrato sulla figura di Mawutzinin, raggruppa varie etnie della valle, non solo i Kamayuràs, in quanto le tradizioni sono comuni, a prescindere dall’origine e dalla lingua differenti.
      Durante le celebrazioni si può assistere alla lotta rituale chiamata huka-huka, e anche al momento del “baratto”, durante il quale vengono scambiate armi, tessuti e altri oggetti, seguendo riti ancestrali.
     La dieta dei Kamayuràs è a base di mandioca e pesce, ancora abbondantissimo presso gli affluenti del Rìo Xingù.
     La vita degli indigeni dello Xingù, che sarebbe impensabile al di fuori del loro ancestrale territorio, è minacciata purtroppo da immensi interessi economici: già nel 1989 una grande impresa brasiliana iniziò i lavori di costruzione di enormi dighe per la produzione idroelettrica a monte della zona protetta sia nel Rìo Xingù che nel Jiriri, suo affluente principale, ma in seguito a grandi marce indigene di protesta tali progetti furono abbandonati.
     Attualmente si sta studiando la possibilità di costruire una diga enorme chiamata Belo Monte sul Rìo Xingù (nello stato del Pará), ma alcuni critici di questa immane opera sostengono che sarebbe inutile perché durante i tre mesi secchi non si potrebbe produrre elettricità a causa del basso livello del fiume. L’altro progetto faraonico, quello della diga di Babaquara, inonderebbe circa 6000 chilometri di foresta tropicale con un immane perdita di biodiversità. Entrambi i progetti causerebbero danni enormi agli autoctoni dell’area protetta che, vedrebbero stravolti i loro delicati ecosistemi fluviali e boschivi.
     L’aumento esponenziale delle terra coltivate a soia (e utilizzate per l’allevamento di bovini), e la conseguente distruzione di enormi territori di selva vergine è motivo di grande preoccupazione, sia perché minaccia direttamente i popoli indigeni che dipendono dall’ambiente circostante per la loro sopravvivenza, sia per gli immani danni ambientali e di perdita di biodiversità.

YURI LEVERATTO
Copyright 2009
E' possibile riprodurre l'articolo citando chiaramente l'autore e la fonte
yurileveratto.com

Asia Filippine Mangyan

 

America Indios Waorani

America Indios Zuruahá

mamma Zuruahá allatta il suo piccolo

Africa Boscimani

 

America Indios Guayaki (testo)


PARAGUAY:
LA RAGAZZA CHE VIOLÒ
LA REGOLA DELLA DISCREZIONE

     I guayaki del Paraguay proteggevano la loro vita erotica con la stessa discrezione che caratterizzava le loro abitudini igieniche. Se volevano fare l’amore durante il giorno, erano costretti a svignarsela nella foresta. Può capitare, così, che un uomo si allontani improvvisamente con un aria di falsa indifferenza che la dice lunga; dopo qualche istante, una donna si alza e si avvia nella stessa direzione: hanno un appuntamento. Normalmente vengono scelte le ore più calde del pomeriggio, quando tutti dormono: ma ci sono i kybuchu di notte, non ci si avventura mai nella foresta; l’oscurità è troppo pericolosa, piena com’è di spiriti, di anime, di fantasmi. Si resta nel tapy. Ma io personalmente non ho mai sentito il minimo sospiro di abbandono, pur dormendo spesso nel bel mezzo dell’accampamento: sembra che la cosa venga sbrigata molto rapidamente.
     Tuttavia, Kybwyragi raccontava che una volta, da piccolo, si era svegliato in piena notte e aveva visto i suoi genitori fare all’amore: "Una paura terribile", aggiungeva. Non è raro invece vedere le giovani coppie accarezzarsi: niente di troppo spinto, comunque. Può accadere, per esempio, che il marito sfreghi di tanto in tanto la sua guancia contro il viso della moglie, ma senza abbracciarla, gli aché ignorano il bacio: poi tutti e due si mettono a tubare, mormorandosi paroline dolci.
     Meno frequenti sono i palpamenti in punti precisi del corpo. Una giovane donna, seduta sulle gambe ripiegate, sta fabbricando una corda d’arco arrotolando alcune fibre sulla coscia; accanto a lei il marito sonnecchia; con un occhio solo, evidentemente, perché d’improvviso tuffa la mano dove si può immaginare. La donna caccia un grido di sorpresa, ma chiaramente non è dispiaciuta. Ogni volta che lui torna alla carica lei scoppia a ridere. Giocano così per un po’, poi ciascuno riprende le proprie occupazioni: nessuna traccia di eccitazione è più visibile.
     D’altronde, in un anno circa di permanenza in questo gruppo etnico, in cui entrambi i sessi praticano la nudità completa, non ho mai visto un’erezione. Tutto sommato non ho riportato l’impressione che i guayaki, malgrado il piacere evidente nel praticare sesso, fossero dei cultori particolarmente raffinati dell’eros, tranne forse uno o due uomini, tra gli Stranieri. Ma essi dovevano di sicuro condurre i loro esperimenti a titolo strettamente personale; infatti, tutti parlavano con divertito stupore di un giovane marito che incoraggiava la moglie a praticare su di lui la fellatio: una prova evidente che questa abitudine era estranea agli altri.
     Tra le rare giovani della tribù, ve ne era una di circa quindici anni, molto attraente, che non celava affatto la sua simpatia per gli uomini. Questi, dal canto loro, non si poteva dire certo che la trascurassero ("a questa ragazza", si diceva, piace parecchio dare il suo buco"), ma lei sembrava insaziabile e non mancava mai di far capire a chi di dovere le proprie intenzioni.
     Quando non aveva alcun betagi a portata di mano, si dedicava, con le ragazze della sua età, a giochi che le facevano ridere pazzamente: si fa finta di raccontare una storia, si distrae l’attenzione dell’altra e, rapidamente, le si tocca il sesso. Quest’ultima, sorpresa e forse compiaciuta, lancia piccoli strilli acuti, poi cerca di rendere la pariglia. Ma, ovviamente, un uomo è un’altra cosa.
     Un caldo pomeriggio in cui tutti i presenti facevano la siesta, questa ragazza libertina errava oziosa per l’accampamento; sembrava di pessimo umore, senza dubbio perché non riusciva a trovare hic et nunc ciò di cui aveva bisogno. Ma ecco che adocchia Bykygi; disteso sul ventre, quest’ultimo sta dormendo, con la testa tra le braccia. Senza tanti complimenti, la ragazza si avvicina, si sdraia su di lui e, con molta naturalezza, comincia a bombardargli le natiche con vigorosi colpi d’anca, come se volesse sodomizzarlo. Il malcapitato, strappato alla siesta in modo così energico, caccia grugniti di spavento. Ma lei non se ne cura e lo inchioda al suolo imprigionandolo tra le gambe. Poi, velocemente gli infila una mano sotto il ventre cercando di afferrargli il pene.
     Adesso si rotolano tutti e due per terra, uno sopra l’altro, lei silenziosa e ostinata, lui che grida, ma non troppo forte: "Poko erne! Poko eme! Non toccare! Non toccare!". Ma senza risultato, perché proprio di questo lei ha voglia. E riesce a ottenerlo. Ben presto le proteste della vittima cessano del tutto; non passa molto e se ne vanno tutti e due un po’ più lontano, al riparo da sguardi indiscreti. La ragazza sapeva bene ciò che voleva, e l’ha trovato...


Da."Cronaca di una tribù" di Pierre Clastres

Africa Congo Obangui

America Indios Nambikwara (omaggio a Claude Lévi-Strauss)

Sognanti in certi momenti...
Claude-Lévi Strauss - Saudades do Brasil (Tristi Tropici)

Africa Boscimani

donne boscimane

Africa Guinea (testo)

BIDJOGO (Guinea):
la donna butta quando vuole
il marito fuori dalla capanna
In questa tribù le donne, oltre che scegliersi il marito hanno molti altri diritti, tra i quali quello di poterlo lasciare in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione. Se la moglie infatti decide di andare a letto con un altro uomo, non deve fare altro che buttare il marito fuori della capanna che è di sua proprietà e dirgli che da quel momento il matrimonio è sciolto.

Asia Filippine Tasaday

America Indios Waorani



Oceania Papua Dani

Africa Boscimani

donna boscimana

America Indios Yanomami


America Indios Nambikwara

famiglia Nambikwara

I due sessi vanno nudi o appendono ciuffi di foglie con funzione di coprisesso ad una cintura di cotone, ornata di perle di conchiglia bianche e nere.
Le donne portano come ornamento bracciali di corazza di armadillo ed una doppia bandoliera di cotone tinta con urucù e ornata di aculei di porcospino. Sia gli uomini che le donne nambikwara portano i capelli abbastanza corti, tagliati all'altezza delle sopracciglia e deilobi auricolari. Si dipingono tutto il corpo con urucù, e a volte disegnano sul petto e sulle gambe con genipa delle composizioni di strisce e puntini.
La poliginia è costume esclusivo del capo e degli uomino di alto rango, e spesso è di tipo sororale, oppure del tipo plurigenerazionale, per cui si sposa una donna e nello stesso tempo le figlie che questa ha avuto da precedenti matrimoni. La poliginia, data l'esiguità numerica della banda, e quindi il numero limitato di donne, è compensata dall'omosessualità praticata durante l'adolescenza fra i cugini incrociati maschi. 

(da Luisa Faldini, Amazzonia, Istituto Geografico De Agostini - Novara 1978)

America Indios Xingu Kamayura